GIANLUCA FERRARI
GHOSTFACE
L’opera di Gianluca Ferrari pone la sua base storica in un’epoca che sembra esaurirsi
nella fuggevolezza e nella precarietà del momento, in questa modernità che Zygmunt Bauman
definisce liquida, in un tempo vorticoso in cui nulla è afferrabile se non per pochi secondi,
in una società in cui tutto ha un prezzo e niente ha valore, per citare Oscar Wilde.
L’utilizzo di un medium che apre mille possibilità affonda le basi artistiche in Nam June Paik,
Peter Campus, Bruce Nauman, pionieri di questa potenzialità artistica.
Già in passato, Gianluca Ferrari, aveva utilizzato degli schermi visivi, in molte sue opere come “Myopia”, “Legacy”, “Son of God”, “Pieces”, “Figures” solo per citarne alcune, nelle quali sviluppava
un importante uso della sperimentazione tecnologica, come la continua modificazione dell’immagine,
la manipolazione di sistemi e circuiti per raggiungere l’immagine astratta, oppure l’uso della telecamera
che registra un corpo mentre compie delle azioni.
Questa ricerca formale ed estetica, lo porta ad osare verso nuove forme di comunicazione
sempre più impalpabili, come l’immagine olografica. L’immagine elettronica che si crea è un segno grafico, ma nello stesso tempo emotivo, è un flusso simultaneo tra la concretezza evocativa di una tecnologia
che si ripete sempre uguale, e una dimensione poli-sensoriale tra immagine, suono e immersione
vissuta allo spettatore.
Il lavoro presentato per l’esposizione “Places never are places” in una delle tre sale
del Torrazzo Gonzaghesco di Commessaggio (Mantova), edificato nel 1583,
e divenuto bene Fai - Fondo per l’Ambiente italiano - è un’evoluzione della sua ricerca
e vede un utilizzo dell’intero spazio a disposizione in cui sono collocati dei ventilatori olografici
che oltre a proiettare l’immagine la rendono in movimento.
Questo dispositivo tecnologico già di per sé mutevole e flessibile, si insinua nello spazio, mutandolo.
Undici teste che riempiono il luogo espositivo in un continuum tra luce, tempo e spazio.
Le immagini di visi di persone sconosciute, sono a volte più nitide a volte meno riconoscibili,
installate a varie altezze e lo spettatore è guidato per osservare l’opera da un certo punto di vista.
L’artista, una volta ricercato il medium tecnologico più adatto, mostra il suo interesse
sulle condizioni di percezione ed esperienza umana.
L’opera vuole indagare il funzionamento della nostra percezione attraverso un mezzo con il quale
poter raggiungere una più profonda conoscenza dell’uomo e del rapporto che esso instaura con l’ambiente. Un rapporto che include una compenetrazione di sensi tra immagini, suoni e di percezione soggettiva
che processa le informazioni. Per questo non dobbiamo dimenticare la sperimentazione sonora,
sempre presente nelle sue opere, non solo come rapporto tra suono e immagine tecnologica,
ma come legame tra l’esperienza sonoro-visiva e l’ambiente in cui il suono si propaga,
l’architettura degli spazi ridefiniti dal suono e dall’acustica dello spettatore.
Questo connubio tra opera, architettura ed esperienza del fruitore è l’elemento caratterizzante
del lavoro dell’artista.
Ritornando al soggetto dell’opera vediamo che sono immagini che si dissolvono,
disinquadrature tendenti alla de-figurazione, si compongono e decompongono
e richiedono allo spettatore una sorta di contemplazione per poterle decifrare.
Queste immagini sembra che vadano ad affondare il loro valore artistico in un mondo a intermittenza, inquadrano un’umanità con una storia sospesa, mettono in evidenza l’incertezza della percezione,
fra mondo visibile e mondo interiore, psichico, emotivo, definiscono un paesaggio segnato
da trasformazioni, attese, il fardello di ogni esistenza segnata da sventure improvvise
e da altrettante risalite.
Ogni viso ha un proprio mondo che non condivide con gli altri, ognuno ha il proprio spazio vitale.
È un opera che ci immerge nella vita in modo semplice, ma misterioso e ad un certo punto lo spettatore
che si lascia avvolgere dall’opera raggiungerà lo stesso respiro del resto dell’umanità presente nella stanza.
In questa prospettiva il processo di de-figurazione di cui è responsabile il mezzo tecnologico,
è caleidoscopio della simultaneità delle cose del mondo che accadono disordinatamente tutte insieme,
sovrapponendosi e incastrandosi senza principio in una sequenza ordinata.
Per cui il lavoro di questo artista cerca di trascendere la visione fenomenica attraverso
una purificazione dello sguardo, per intensificare i dati percettivi, così da restituire
concretezza e intensità all’esperienza estetica.
Rosetta Termenini
Photo: Paolo Bernini @ BERNINISTUDIO / STUDIONIFE
No reproduction without permission - Vietata qualsiasi riproduzione - PLACES NEVER ARE PLACES - Exhibition - 2024